Cosa ci dicono davvero le etichette dei vestiti. Come controllare se un capo è davvero sostenibile

Dietro le etichette apparentemente innocue dei vestiti che riempiono i nostri armadi, si cela una realtà complessa e spesso nascosta. La produzione intensiva, il dominio del fast fashion e il crescente impatto ambientale rendono imperativo per i consumatori comprendere cosa realmente significano le etichette e come verificare la sostenibilità di un capo.

Etichette vestiti
Guida per il consumatore consapevole
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Negli ultimi 20 anni, la produzione di vestiti è raddoppiata, portando a 100 miliardi di capi nel 2022 con una previsione di raggiungere i 200 miliardi nel 2030. Questo boom è alimentato dal fast fashion, un modello che promuove la produzione su larga scala di capi progettati per essere indossati solo per un breve periodo, caratterizzati da bassa qualità e prezzi abbordabili. Ma dietro l’apparente vantaggio economico si nasconde un costo ambientale e sociale significativo.

Il settore tessile, responsabile del 5-10% delle emissioni globali di gas serra, ha spesso cercato di migliorare la sua immagine con promesse di sostenibilità. Tuttavia, queste promesse possono essere poco più di uno stratagemma di marketing, noto come greenwashing, in cui le aziende cercano di dare un’immagine “verde” senza effettive pratiche sostenibili.

Sviluppare una consapevolezza critica verso le etichette dei vestiti si trasforma dunque nel primo passo da fare per scelte più sostenibili. In un’epoca in cui la moda cambia rapidamente, l’investimento in capi di qualità, prodotti in modo etico e sostenibile, diventa sotto tutti i punti di vista una valida dichiarazione di impegno per un futuro più verde.

Distinguere la sostenibilità dalla finzione: cosa controllare sulle etichette

Le etichette dei vestiti sono la nostra finestra sulle pratiche di produzione e sulle materie prime utilizzate. Tuttavia, capire cosa significano queste etichette può essere complicato. Ecco alcune chiavi per aiutarti a distinguere un capo veramente sostenibile da uno con etichette fuorvianti.

Etichette sostenibili
L’impulso del Green Deal e l’accordo sulla responsabilizzazione dei consumatori
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  1. Poliestere riciclato: Quando si legge questa dicitura sulle etichette, si pensa spesso a una scelta ecologica, ma la realtà, di fatto, è molto più complessa. Mentre il processo di riciclo delle bottiglie di plastica (PET) per ottenere fibre di poliestere è una pratica valida, la questione critica sorge quando si considera che il tessuto risultante non è più riciclabile. Inoltre, il processo di produzione emette circa 1,5 tonnellate di CO2, e durante il lavaggio, rilascia microfibre che contribuiscono all’inquinamento dei sistemi acquatici.
  2. Fibre cellulosiche artificiali: Materiali come la viscosa possono sembrare sostenibili, ma la produzione richiede quantità significative d’acqua e l’uso di sostanze chimiche nocive. Controllare l’origine della cellulosa è fondamentale: solo il 14% della cellulosa utilizzata per la produzione di viscosa proviene infatti da fonti certificate, garantendo pratiche sostenibili di gestione forestale.
  3. Cotone: Una delle fibre più comuni, il cotone, è spesso associato a un enorme impatto ecologico, tra cui l’uso massiccio di acqua e l’impiego di pesticidi. Se l’etichetta menziona il Better Cotton Initiative (BCI), verifica la percentuale di cotone certificato BCI nella filiera. Tuttavia, ricorda che questa certificazione non impone restrizioni obbligatorie sull’uso di pesticidi.

Altre svolte verso la sostenibilità e la trasparenza: responsabilizzazione dei consumatori

Di certo, la guida del consumatore alla moda sostenibile non si limita più a interpretare meramente le etichette in modo isolato ma si estende a una comprensione più ampia delle politiche governative e degli accordi internazionali intraprese dal settore.

A tal proposito, nel settembre 2023, il Consiglio e il Parlamento Europeo hanno dato il via libera all’accordo sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde, inserito nel più ampio contesto del Green Deal, un ambizioso piano che mira a promuovere una crescita efficiente e sostenibile in vari settori, inclusa la moda. Inquadrato all’interno di questo accordo, l’obiettivo per il settore della moda è la realizzazione di un’economia circolare, che sfida le pratiche tradizionali della produzione intensiva e del consumo impulsivo. Questa iniziativa si basa su quattro principali ambiti di intervento, progettati per riorientare l’industria della moda verso la sostenibilità:

  1. Ecodesign: La direttiva relativa all’ecodesign impone requisiti minimi che i produttori devono rispettare per poter accedere al mercato europeo. Questi requisiti riguardano sostenibilità, materiali, riciclabilità, durata nel tempo, riparabilità e riutilizzo. In sostanza, ciò significa che i capi di abbigliamento dovranno essere progettati con un occhio attento all’impatto ambientale e alla loro longevità.
  2. Tracciabilità e trasparenza della filiera: I produttori sono ora tenuti a fornire informazioni dettagliate sulla provenienza delle materie prime, le condizioni di lavoro nella catena di produzione e l’impatto ambientale complessivo del ciclo di vita del prodotto. Questa trasparenza mira a responsabilizzare i consumatori, consentendo loro di fare scelte informate.
  3. Responsabilità estesa del produttore (EPR): Questa iniziativa impone ai produttori di gestire i rifiuti in modo sostenibile. Ciò include la promozione di design sostenibili, l’implementazione di programmi di raccolta differenziata e la collaborazione con organizzazioni specializzate nel riciclaggio. Gli obblighi EPR pongono l’enfasi sulla responsabilità dell’intera catena produttiva.
  4. Commercio dei prodotti: Gli accordi commerciali dell’Unione Europea promuoveranno attivamente i produttori che adottano normative di sostenibilità lungo l’intera filiera produttiva. Questa mossa è progettata per incentivare la conformità agli standard sostenibili e per premiare i produttori che adottano pratiche rispettose dell’ambiente.

Parallelamente, anche altri progetti italiani come Slow Fiber (nato nel 2022) stanno forgiando nuovi modelli di produzione sostenibile ed etico. Le aziende coinvolte dovranno rispondere ai principi ESG e saranno sottoposte a audit e verifiche, garantendo un livello sicuramente maggiore di trasparenza e responsabilità.

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